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Il Mondo della Musica (anno XII – n. 2 , Maggio – Agosto 1974) Ottorino Respighi: Compositore e Maestro, nel ricordo di un allievo.
Il mio primo incontro con Ottorino Respighi ebbe luogo a Roma, nel Conservatorio di S. Cecilia, durante l’inverno 1924-1925, in una stanza molto piccola, al primo piano. Mi aveva indirizzato a lui il comune amico, violoncellista Livio Boni, che io avevo conosciuto a S.Marinella nel 1923. Il Maestro entrò da una piccola porta laterale, la cui proporzione ridotta dava ancor più risalto alla figura del Musicista : era di media statura, robusto, ma elegante, con una testa leonina che ricordava moltissimo (e più in bello) quella di Beethoven. Avevo allora 19 anni e non so come riuscii a trovare la voce per esprimergli i sentimenti di ammirazione e di stima che nutrivo per lui, nonché il mio vivissimo desiderio di diventare suo allievo. Devo aggiungere subito che il Maestro aveva uno sguardo serio e, all’occorrenza, molto severo, però quando il volto si illuminava col suo sorriso buono, anche gli occhi brillavano di gaiezza quasi infantile. Lo spazio che ho a disposizione non mi consente purtroppo di parlare esaurientemente, come dovrei e potrei, dell’uomo e dell’artista, comunque farò del mio meglio per lumeggiare le caratteristiche essenziali di questo grande compositore. Fu anzitutto un uomo libero che disdegnava qualsiasi compromesso, sia nel vivere quotidiano che nell’arte. La severità di vita che conduceva fin da ragazzo e la serietà di intenzioni che riponeva nell’operare furono le sue costanti direttrici di marcia. Questa austerità realizzata senza alcuna retorica, ma seguita come il più semplice modo di vivere e con durissima disciplina, costituiva già di per se stessa un esempio ed un insegnamento per i suoi allievi. In un periodo nel quale per vivere era quasi indispensabile una tessera di partito, restò al di fuori di ogni politica. Sarà opportuno ricordare che Respighi non fu mai iscritto al P.N.F. Gli onori che gli furono meritatamente tributati, derivarono soltanto dalla sua attività artistica e dal suo comportamento di cittadino integerrimo che con il suo lavoro onorava l’arte musicale e l’Italia. La sua innata semplicità lo portò a rifuggire inviti di regnanti e di potenti uomini politici. Perfino nel vestire voleva essere uguale agli altri uomini. Ricevuto, nel 1932, l’altissimo riconoscimento di Accademico d’Italia, soffrì moltissimo quelle rare volte che fu costretto ad indossare la divisa accademica, un vestito che ricordava molto quello degli ambasciatori. Quando fu necessario misurarselo, il sarto gli chiese come si sentisse; e il Maestro, di pessimo umore, rispose: ”Mi sento maresciallo dei Carabinieri”. Dopo il mancato concerto di Arturo Toscanini, al Teatro Comunale di Bologna, il 14 maggio 1931, (mancato perché Toscanini si rifiutò di dirigere gli inni prima del concerto e venne quindi fatto oggetto a manifestazioni ostili da parte dei fascisti) Respighi difese e protesse l’insigne direttore d’orchestra, che potè lasciare indenne la città. Rientrando a Roma, profondamente amareggiato per l’accaduto, riprese le sue lezioni del Corso di Perfezionamento a S. Cecilia. Ricordo che, alla fine della prima lezione, uscito dall’aula insieme a noi allievi, incontrò nel corridoio un collega e lo salutò romanamente, però aggiunse subito (alludendo al saluto); “Guarda che ho scherzato!”. Non fu mai iscritto a nessun partito e furono malevole insinuazioni di una parte della stampa francese, quelle che cercarono di dare una falsa interpretazione a “I Pini della Via Appia”. Queste erano le legioni di Giulio Cesare e non quelle della milizia fascista! E’ cosa risaputa, e direi quasi inevitabile, che gli allievi di un grande musicista finiscano per esserne anche stilisticamente dei seguaci. Ebbene, uno dei tanti meriti di Respighi didatta fu proprio quello di lasciare a ciascuno allievo la sua personalità della quale diventava lui stesso vigile custode e difensore della libertà e coerenza stilistica. Si accorgeva immediatamente delle pagine non sentite e tirate giù, soltanto per portargli del lavoro. Naturalmente desiderava che i suoi allievi avessero particolari attitudini ed era quindi severo nel sceglierli. Esaminava i nostri lavori con la massima attenzione: guai a scambiarsi nel frattempo (anche sottovoce) una parola: una sua occhiata fredda gelava l’audace! Esaminava le nostre partiture con tale rapidità da far pensare che il suo esame fosse superficiale. Invece era attentissimo e nessun particolare, benché minimo o secondario, sfuggiva alla sua valutazione. Raramente lo vedevamo tornare indietro e questo avveniva quando doveva suggerire un perfezionamento. Si può dire che “viveva” i nostri lavori come se fossero i suoi. E teneva in grande considerazione l’architettura della composizione. Le proporzioni erano essenziali per lui, e a queste faceva sacrificare talvolta anche delle pagine ben riuscite. “Mettetele da parte perché vi potranno servire per qualche altro lavoro” ci diceva. “Se volete comporre, nutritevi di Bach e di Beethoven, ma lasciate stare gli altri”. Ed ecco un altro suo utile avvertimento: “Quando avete spiegato ad un interprete le vostre intenzioni, non insistete ulteriormente per ottenere la vostra interpretazione. Se insisterete, l’interprete finirà col non fare la sua, né la vostra interpretazione”. Ci ricordava poi che una composizione sinfonica va concepita in funzione dell’orchestra, pertanto è errato dire che un lavoro sinfonico sia ben orchestrato. Come già affermava Rimski Korsakov, non si può dire che un quadro “sia ben dipinto”. Il colore ne è parte integrante. Respighi nacque a Bologna, il 9 luglio 1879. Entrò nel Liceo Musicale di questa città nel 1891 iniziando lo studio del violino e della viola. Nel 1896 si iscrisse alla classe di composizione del Maestro Torchi. Nel 1899 si diplomò in violino e viola. Il 25 giugno, nel saggio finale, esegue con grande bravura “Le Streghe” di Paganini. Il successo è tale che alla sera, l’amico e collega Mario Corti, coadiuvato da altri allievi, gli improvvisa una “serenata” sotto le finestre di casa. Nel 1900 va in Russia e, a Pietroburgo, diventa la prima viola del Teatro Imperiale. Conosce Rimski Korsakov e per cinque mesi prende lezioni da lui. A noi allievi ne parlava con ammirazione, ricordando però la sua grande pedanteria didattica. Rientrato a Bologna si diploma brillantemente in composizione nel 1910. Al saggio finale del 24 giugno viene eseguito con vibrantissimo successo il suo “Preludio Corale e Fuga”. Molte congratulazioni vanno al Maestro Giuseppe Martucci, per l’”allievo” Respighi, ma Martucci risponde: “Respighi non è un alunno, Respighi è un Maestro!”. Nel 1902 ritorna in Russia. Nel 1908 lo troviamo a Berlino, quale accompagnatore nella scuola di canto della Sig.ra Gester. Non è vero, come generalmente si scrive, che Respighi sia stato un allievo di Max Bruch. Ne fece la conoscenza a Berlino fra il 1908 ed il 1909 e gli mostrò qualche volta dei suoi lavori. Pur pensando di prendere qualche lezione, non lo fece mai, perché si sentiva spiritualmente troppo lontano da questo artista. Respighi fu sempre, come uomo e come artista, un indipendente, un isolato - e questo si inquadra perfettamente nel suo amore per la libertà - e rifuggì dal far parte di questo o di quel raggruppamento di musicisti, fosse esso nazionale od internazionale. Era un giudice assai severo di se stesso, dotato di un senso critico acuto, sicuro ed imparziale. A proposito della sua musica dichiarava: “Io non posso scrivere che così, sarà bella, sarà brutta, sarà nuova, sarà vecchia? Io non lo so, ma è certo quella che sento”. Professione di fede, umile ma ferma, che dovrebbe far pensare tanti pseudo innovatori! In una lettera del 16 dicembre 1933, inviata da Malta ad Arturo Toscanini, scriveva: “Lei sa meglio d’ogni altro, Maestro, come io abbia fatto la mia strada senza chiedere niente a nessuno e senza piangere miseria, mai, lontano dagli intrighi e dai bassi pettegolezzi. Posso con tranquilla coscienza dire di non aver mai fatto male a nessuno e di essere stato sempre fedele alla mia arte e a me stesso”. Nel 1913 gli viene affidata una cattedra di composizione nel Conservatorio di Roma e nel 1924 assume la direzione del Conservatorio stesso. Nel 1926 se ne dimette, per potersi dedicare completamente alla composizione ed ai concerti. Più tardi gli verrà affidata la cattedra di Perfezionamento d’Alta Composizione presso la stessa scuola romana. Nel 1926 iniziano le sue acclamate tournées di concerti in tutto il mondo: alterna la direzione d’orchestra al pianoforte, eseguendo anche le parti solistiche dei suoi concerti. . A Vienna, in casa del Maestro Schalk. incontra Richard Strauss del quale è grande ammiratore. Strauss gli dice: “Conosco i vostri lavori: avete talento! Fatevi pagare bene dagli editori!”. Quale doccia fredda fu per Respighi questo consiglio di carattere pratico, che però non era del tutto inopportuno, perché egli cedette ogni e qualsiasi diritto sulla lirica “Nebbie” all’editore Bongiovanni di Bologna, per poche lire! Il fiorire, nell’Italia dell’800, dei numerosi e grandi operisti, fece completamente trascurare la musica strumentale che aveva invece avuto grande ricchezza e varietà di espressioni nei due secoli precedenti. In mezzo a tanto operismo, nel Liceo Musicale de Bologna, il direttore Giuseppe Martucci esegue le sinfonie di Beethoven e di Brahms, coltiva la musica strumentale lasciandoci le sue celebri pagine quali le Sinfonie, il Concerto per pianoforte e orchestra, il Notturno, la Novelletta, ecc. Il giovane Respighi fa parte dell’ orchestra del Liceo e respira questa atmosfera. Così, pur non abbandonando il teatro per il quale comporrà in seguito opere pregevolissime quali “Belfagor” (1923), “La campana sommersa” (1927). “Maria Egiziaca” (1932), “La Fiamma” (1934) e la “Lucrezia” (rappresentata nel 1937, dopo la sua morte), entrò nel campo del grande sinfonismo e presto i suoi lavori vennero eseguiti in tutto il mondo da direttori di grande fama. A questo proposito Mario Labroca ha scritto: “E’ doveroso dire che uno tra i maggiori meriti di Respighi è quello di aver allargato per se stesso ma anche per tutti i giovani delle generazioni successive, il campo delle conoscenze, di aver creato i presupposti per una familiarità internazionale che oggi più che mai si rivela preziosa agli effetti dei rapporti, delle necessarie relazioni. I suoi poemi sinfonici che sono tra le opere contemporanee più eseguite, e specie quelli del ciclo romano (Fontane di Roma, 1917; Pini di Roma, 1923; Feste romane, 1929) costituiscono la documentazione di come Respighi abbia saputo dare al linguaggio del nostro tempo un’ambientazione caratteristica ed un’impronta personale. I colori e i rapporti timbrici possono dirsi inequivocabilmente mediterranei ed anche questo spiega la popolarità che arrisa alle sue opere sinfoniche. Allo stesso modo è da rilevare, nelle altre composizioni, specie nei concerti per strumenti solisti e orchestra, quel senso di liberazione dei limiti formali, liberazione che rafforza la logica del linguaggio, aggiungendo ad esso freschezza e personalità”. Ricordo, tra questi ultimi, il Concerto Gregoriano, per violino e orchestra, la Toccata ed il Concerto in modo misolidio, per pianoforte e orchestra. Il suo appassionato amore di bibliofilo, di ricercatore e di divulgatore dette alla cultura musicale anche le primizie di trascrizioni quali le “Antiche Arie e Danze per liuto” (tre suites), “Gli uccelli” e tante altre, fino all’interpretazione orchestrale della michelangiolesca Passacaglia” per organo di J.S.Bach, richiestagli espressamente da Arturo Toscanini per i suoi concerti negli Stati Uniti. Questo mio scritto non può, ne vuole diventare una elencazione delle numerosissime e celebri musiche dell’illustre compositore italiano. Devo però ricordare i suoi balletti – fra cui hanno risalto: “La boutique fantasque”, composta utilizzando alcune composizioni pianistiche di G.Rossini e rappresentata per la prima volta all’ Alhambra di Londra nel 1919 e, “Belkis, regina di Saba” che ebbe alla Scala di Milano il suo battesimo nel 1932 ed anche la importante produzione di musica strumentale e vocale da camera nella quale meritano una particolare menzione le “Liriche”, il “Quartetto dorico”, il “Tramonto”, e quella purissima gemma della “Lauda per la Natività del Signore” per tre voci soliste, coro misto e otto instrumenti, composta nel 1929 ed eseguita per la prima volta all’Accademia Chigiana di Siena, il 22 novembre 1930. Grande e carissimo Maestro! Con noi allievi parlava dei suoi lavori soltanto per mettere in rilievo quelli che lui riteneva difetti. Non si può parlare della vita e delle musiche di Ottorino Respighi senza parlare anche della sua consorte, Elsa Olivieri di San Giacomo, prima sua allieva di composizione e poi, dal 13 gennaio 1919, sua amatissima sposa. Elsa fu per lui: ispiratrice, madre, amica, consigliera, segretaria, assolvendo ogni ruolo con appassionata dedizione e rara intelligenza. .
Io non credo che Respighi sarebbe arrivato dove è arrivato, se non avesse avuto al suo fianco Elsa, anzi Elsina, come lui la chiamava.
Il poeta Giacomo Leopardi, traducendo un verso di Menandro scrisse: “Muore giovane colui che al cielo è caro”, ed Ottorino Respighi concluse la sua laboriosa giornata terrena il 18 aprile 1936, a Roma, nella sua villa “I Pini” alla Camilluccia. Aveva 56 anni ma era veramente giovane! Una terribile e, a quei tempi, incurabile malattia: l’endocardite lenta da streptococco viridans, ne aveva minato irrimediabilmente il fisico e in tre mesi e mezzo lo aveva condotto alla tomba. Tristissimo onore fu, per noi allievi, quello di portare il feretro sulle nostre spalle! Fu sepolto a Bologna, vicino a Guglielmo Marconi e a Giosuè Carducci. Ma il sarcofago di granito in cui sono conservate le sue spoglie mortali, poggia su un pezzo di una via consolare romana; sono pietre tolte dalla Via Appia, unico e prezioso piedistallo che Roma ha voluto offrire – insieme ai lauri del Palatino – quale riconoscente omaggio al suo immortale Cantore.
Carlo Alberto Pizzini
(Dal testo di una trasmissione effettuata dalla Radio Bavarese di Monaco).
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