Ero bambino, avrò avuto sei anni,
e un giorno ascoltando una delle mie sorelle che suonava al pianoforte
la riduzione della malinconica romanza “Mi par di udire ancor” da
"I pescatori di perle”, fui assalito da così grande tristezza,
che scoppiai in lacrime.
Allora, per far tornare il sole nel mio piccolo cielo, la buona sorella
si mise a suonare “Tripoli, bel suol d ’amore” di grande
voga in quel tempo.
Questa singolare sensibilità musicale non impediva, qualche anno
dopo, che io costruissi modellini di macchine. Al che mio padre pensò che
io avessi una particolare disposizione per l’' ingegneria e, al momento
opportuno, mi fece frequentare le scuole tecniche.
Io intanto provavo l’' irrefrenabile desiderio di suonare il pianoforte, persuasissimo che bastasse mettere le mani sulla tastiera per trarne delle
melodie. Imparai presto a suonare ad orecchio e a rifare gli studi che
sentivo da mia sorella. Mio padre decise quindi di farmi impartire delle
lezioni di pianoforte e ricordo ancora con affetto il mio primo insegnante,
M°Aniceto Frattali.
Studente d ' istituto tecnico, formai nel 1921 un complesso jazz di
studenti che in poco tempo si guadagnò larga notorietà nel
mondo goliardico. Ci offrimmo di suonare per beneficenza il 10 Gennaio
1924. al Teatro Adriano, dentro la gabbia dei leoni del Circo Kepitow,
ma il prudente Commissario di P.S. proibì la nostra esibizione,
ritenuta “troppo rischiosa”. Venivamo invitati a suonare in
ambasciate e in ambienti importanti, guadagnavamo benino e così mi
fu possibile acquistare musica e molte partiture d ’orchestra.
Col passare degli anni diminuiva il mio amore per la tecnica mentre aumentava
quello per la musica.
Nel 1924 abbandonai il jazz, per formare orchestre abbastanza numerose
(in massima parte composte da studenti) che dirigevo e con le quali venivano
organizzati i, chiamiamoli così, concerti per l’' educazione
musicale degli studenti delle scuole medie.
Mio padre, di nobile estrazione, era rimasto orfano in tenera età di
entrambi i genitori. I parenti si erano dileguati e così si trovò costretto
ad affrontare, insieme al fratello minore, una giovinezza difficile e sofferta.
Fidanzato con mia madre, che abitava nel palazzo Cenci-Bolognetti, in via
dell ’Ara Coeli, venne conosciuto ed apprezzato dal generale Durando
(già comandante delle truppe piemontesi che avevano occupato Roma
nel 1870) che abitava nello stesso stabile. Fu il generale Durando a far
impiegare mio padre e mio zio a Casa Reale.
Avendo provato le difficoltà della vita, mio padre mi diceva: “Con
la musica o si riesce e va bene, o non si riesce e si fa la fame. Tu non
hai beni di famiglia, perciò prenditi prima un titolo di studio
e poi, se ne senti la vocazione, dedicati alla musica”.
Seguii il suo consiglio e nel 1924 mi diplomai “con menzione d’onore”
Perito Industriale per la edilizia e l’elettromeccanica. Mi iscrissi
quindi all’' Università che però lasciai quasi subito
per entrare nel Conservatorio di S.Cecilia.
Ero stato presentato e raccomandato al M°Respighi, dal comune amico,
il violoncellista Livio Boni, ma avendo superato l’' età per
essere ammesso al Corso di Composizione, venni intanto avviato, dal M° Setacciali,
allo studio del contrabbasso, con l ’ottimo M° Isaia Billè.
Intanto continuavo a scrivere “a quattro parti” studiando privatamente
con un musicista il cui grande valore era eguagliato soltanto dalla sua
modestia: il M° Antonio Ferdinandi (allora ancora studente) per il
quale conservo ammirazione e riconoscenza.
Proseguii lo studio con l’' illustre M° Cesare Dobici, troppo
noto perché io ne debba menzionare le straordinarie benemerenze.
Voglio soltanto aggiungere che nonostante il suo rigorismo nella armonia,
contrappunto e fuga, era aperto ad ogni innovazione e, incoraggiando la
composizione libera, diceva spesso “Preferisco una romanzetta a un
bigoncio di contrappunto”.
Arrivato al momento di frequentare il 1° Anno di Fuga (6° del Corso
di Composizione) presentai domanda di essere assegnato alla Classe Respighi.
Questi conosceva da vari anni la mia aspirazione a diventare suo allievo.
Con indescrivibile, cocente delusione, il primo giorno di scuola, constatai
che invece ero stato messo nella classe del M°Bustini. Non feci alcun
passo né rimostranze e cominciai a frequentare le lezioni. Dopo
qualche tempo, recatomi dal Direttore della Segreteria, dottor Maspes,
onde ottenere la prescritta autorizzazione per continuare la mia attività per
l’' educazione musicale degli studenti medi, trovai per caso
nel suo ufficio il M°Respighi. Guardandomi severamente mi chiese: “Perché lei
non frequenta le mie lezioni ?”. Risposi con amarezza: “Maestro,
perché sono stato assegnato alla Classe Bustini”. “Le
assicuro, rispose il maestro, che ho scritto il suo nome di mio pugno sul
mio registro”.
Per chiarire il mistero venne subito mandato a prendere il registro: su
questo venne rilevata un’ampia cancellatura su cui era stato scritto
il nome di Annibale Bizzelli. Vennero quindi ripristinate le precedenti
decisioni ed io potei finalmente entrare nella Classe sognata.
Fu mia premura avvertire immediatamente il M° Bustini di quanto era
accaduto e anche la Segreteria spiegò al Maestro la ragione del
cambiamento. Nonostante ciò penso che egli lo abbia considerato
come una mia diserzione. Ciò non era affatto vero, perché da
tanto tempo avevo chiesto di andare col M° Respighi, ma purtroppo da
quel momento cominciarono i miei guai.
Nella Classe di Pianoforte Complementare per Compositori, di cui era
anche docente il M° Bustini, non avevo affatto vita facile, per
giunta, dopo non molte lezioni, il M° Respighi si allontanò per
impegni artistici, lasciando la sua classe al bravo M° Riccardo Storti
(un vero signore!) che temporaneamente lo sostituiva. Rientrato a
Roma il M° Respighi lasciò poco dopo lo insegnamento per dedicarsi completamente
alla sua attività artistica.
La mia situazione divenne ancora più critica. Ne parlai prima con
mio padre poi col direttore del Conservatorio, M° Mulè, che
mi stimava e mi voleva bene: ambedue approvarono il mio progetto di ritirarmi
dal Conservatorio per prepararmi privatamente al diploma sotto l’' esperta
guida del M° Dobici. Così feci, continuando a mostrare periodicamente
i miei lavori al M° Mulè, presente sempre il M° Dobici.
Questi incontri avvenivano nel Salone dei Medaglioni del Conservatorio.
Nel Giugno del 1929 conseguii il Diploma di Magistero di Composizione,
nel Liceo Musicale G.B. Martini di Bologna.
Nel frattempo, a S.Cecilia, era stato affidato al M° Respighi un corso
di Perfezionamento per Compositori, riservato ai diplomati con media non
inferiore agli 8/10. Nel 1930 presentai domanda e venni accettato, ma un’ingiusta
amarezza mi era riservata: il M° Respighi mi accolse freddamente,
dicendomi: “Cosa ci viene a fare al mio Corso ?”. Riuscii a
trovare il fiato per rispondere: “Maestro per imparare da Lei”.
E lui: “Mi porti una fuga per quartetto d ’archi”. “Vuole
darmi il tema ?” gli chiesi. “Lo faccia lei” rispose.
Era più che evidente che qualcuno mi aveva messo in cattiva luce
col Maestro.
Non posso descrivere efficacemente la mia reazione: il primo impulso fu
quello di abbandonare il Corso Respighi e tutto, ma le fervide esortazioni
della mia fidanzata (che avevo avuto la fortuna di conoscere al Conservatorio,
dove studiava l’arpa) e quelle del M° Giuseppe Cristiani, mi
convinsero a rimanere, anche per dimostrare coi fatti, come e quanto fosse
ingiusto lo atteggiamento preso nei miei confronti. Tornai a scuola
portando il tema per la fuga. Il Maestro disse che andava bene.
Terminata ed approvata la composizione mi disse: “Ora faccia il preludio”.
Composi la “Sarabanda”, che in seguito, con l’' aggiunta
dei contrabbassi ha avuto numerose esecuzioni in Italia e all’estero. “E
adesso cosa vuol fare ?” mi chiese quindi un po’ rabbonito il
Maestro. “Vorrei comporre una sinfonia in stile classico” risposi.
L’idea gli piacque, l ’approvò ed io mi accinsi a scrivere
la sinfonia. Dopo aver completato l ’abbozzo del 3° tempo (lo “Scherzo”)
e ricevutane l’approvazione, ne portai a scuola la partitura completa
(io ho sempre avuto una grande facilità di scrivere in partitura).
“Ma quando l’' ha fatta?” mi domandò il Maestro. “Dall’'altro
ieri” risposi. Non fece alcun commento, ma la sola domanda costituì per
me un elogio. Mi consigliò una piccola modifica alle trombe, nel “Trio” e
mi disse di mettere lo “Scherzo” nel programma di un concerto che
avrei dovuto dirigere all ’ EIAR di Milano.
A mano a mano che io lavoravo, le maniere del Maestro si addolcivano; più volte
ripeteva “Lei è cambiato”, ma soltanto Iddio sa se io
lo fossi, però glielo lasciavo credere, non facevo alcun commento
e continuavo a comporre.
Lavorando a casa, per non dimenticarmene, annotavo sui margini dei fogli
degli abbozzi o delle partiture, le domande che intendevo rivolgere al
Maestro, per risolvere i miei dubbi. Una volta mi disse: “Lei è troppo
scrupoloso, mi sembra Martucci ! Si ricordi che in orchestra passa tutto” e
un’altra, che ero indeciso a sovrapporre differenti tonalità: “Coraggio,
salti il fosso!”.
Più di una volta pensava un po’ prima di rispondere ai miei
interrogativi. Poi diceva: ”Provi a fare così” e consigliava
il da farsi. In qualche caso citava alcuni passi delle sue partiture o
indicazioni dinamiche, che aveva modificato dopo la prima esecuzione.
Era mia abitudine portare gli abbozzi e le partiture dei lavori, su fogli
senza sgualciture, scritti con grafia chiara (facevo i tagli delle note
col righello), Respighi le chiamava “Le edizioni di lusso”.
Frequentai per tre anni scolastici il Corso di Perfezionamento. Durante
il secondo (1931-1932) composi “Il Poema delle Dolomiti”. Quando
ne terminai la partitura, così come era consuetudine, venne eseguito
al pianoforte mentre il Maestro seguiva sulla partitura. Dopo la conclusione,
fortissima, in mi bemolle maggiore, Respighi mi disse “Bravo!” e
volle scrivere di suo pugno “O.K.” dopo la doppia linea che
chiudeva l’' ultima battuta della partitura. Poi aggiunse: “Le
diranno come dissero a me a New York, dopo l’' esecuzione dei “Pini” al Carnegie Hall: “Complimenti a lei e alla cupola !”.
Le lezioni di quell’' anno erano terminate da poco, quando un giorno,
a casa, verso l ’ora di pranzo, trillò il telefono, era il
M° Respighi: mi comunicava che era stato assegnato a me il Premio del
Ministero dell ’ Educazione Nazionale. Restai profondamente commosso
per l’'assolutamente inaspettata notizia, ma più ancora per
lo squisito pensiero avuto dal Maestro nel volermene dare personalmente
comunicazione. Ricordo che quel giorno non riuscii a mangiare niente; l’' emozione
mi aveva chiuso lo stomaco.
Con Respighi composi, tra l’altro, uno “Studio di ambiente
paesano laziale” che egli volle intitolassi “Strapaese”.
Per ascoltarne la prima esecuzione all’' EIAR di Roma, il 30 Giugno
1933, venne apposta da Piazze (Siena) dove si trovava in compagnia di Toscanini.
Respighi fu poi il mio testimone alle nozze, che ebbero luogo l’' 8
Ottobre 1934 nella piccola chiesa romana di via Sforza.
Considero un dono del Signore quello di avere avuto, tra i miei maestri,
Cesare Dobici e Ottorino Respighi.
Il 3 Marzo 1939, nella Stagione sinfonica pubblica dell’' EIAR, al
Teatro di Torino, l’' illustre, carissimo M° Sergio Failoni, dirigendo
l’' indimenticabile orchestra torinese, realizzò una mirabile
esecuzione del mio “Poema delle Dolomiti”, che riportò vivissimo
successo.
Allora i concerti venivano trasmessi “in diretta” e, il giorno
dopo, il M° Dobici mi scriveva la seguente lettera:
Caro Pizzini, ho seguito ieri sera con interesse crescente il tuo nuovo
lavoro sinfonico “Poema delle Dolomiti” e ne ho riportato la più grata
impressione. Anzi non esito a dire che esso è una meritata lezione agli
impotenti supercerebrali i quali credono alla fabbrica clandestina della musica.
La musica è arte e quando non si è artisti, è inutile
sperare nei successi. Essi sono effimeri e lasciano il tempo che trovano. Pertanto
io sono lieto che i miei due scolari, Pizzini e Porrino, che tante avversità incontrarono
nel giudizio dei sapientoni, sono invece due musicisti splendidamente riusciti;
il che significa che ancora sono in grado di non ingannarmi nella valutazione
dei giovani.
Tuo aff.mo Cesare Dobici.
Bernardino Molinari diresse per la prima volta nei concerti dell’Accademia,
questo mio lavoro il 10 Marzo 1940. L’esecuzione curata con la maestria,
lo scrupolo, l ’esperienza e lo slancio del grande direttore,
riscosse un vibrante successo. Molinari mi chiamò vicino a lui per
ricevere le festose accoglienze del pubblico.
L’8 Dicembre 1942 (festa dell’Immacolata Concezione), data
che mi è stata sempre propizia, in seguito a proposta degli Accademici
Francesco Cilea, Bernardino Molinari e Nicola D’Atri, la Regia Accademia
di S. Cecilia mi eleggeva a far parte dei suoi Soci.
Carlo
Alberto Pizzini
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