A 75 anni suonati, grazie alla buona memoria
donatami e conservatami dal Signore (forse per compensarmi della forte
miopia) mi è possibile intraprendere una lunga passeggiata tra
i miei ricordi musicali, per trarne fuori aneddoti e curiosità dei
quali sono stato testimone o che mi sono stati raccontati dai protagonisti
oppure riferiti da persone degne della massima stima.
Spesso una battuta di spirito, detta al momento opportuno, suscita il
riso che, oltre a fare buon sangue, si dimostra talvolta addirittura
provvidenziale, perché ha il potere di sdrammatizzare situazioni imbarazzanti . “Uomo
allegro, il ciel l’aiuta” dice il proverbio; mi sia consentito
coniarne un altro: “E’ saggio diffidare di coloro che non sorridono”.
Io temo che non sia sufficiente un solo scritto, per esaurire questa gaia
rassegna, comunque è importante darle inizio, perciò attacco
l’Allegro.
Il grande, compianto direttore d ’orchestra viennese, Erich Kleiber,
costretto dal suo antinazismo a vivere a Cap Martin, sulla Costa Azzurra,
tenne il suo ultimo concerto in Europa, prima dello scoppio della seconda
guerra mondiale, al Teatro di Torino, per la Stagione Sinfonica Pubblica
dell’EIAR. Era sua abitudine, arrivato al n°8 di richiamo sulla
partitura d ’orchestra, di fermarsi, beninteso durante le prove,
per rendere omaggio a Otto d’Asburgo!
Un’altra sua abitudine, nei concerti diffusi per radio, era quella
di inviare un saluto musicale alla moglie, che ne seguiva fedelmente
le trasmissioni.
Come faceva ? E’ presto detto: pregava il violino di “spalla” di
suonare prima dell’inizio del concerto (quando gli applausi “di
sortita” erano cessati e l ’orchestra era pronta a cominciare)
le prime sei note del I Tempo dell ’Ottava di Beethoven.
Dopodiché Kleiber ringraziava il violinista con un mezzo inchino
e iniziava il concerto.
Così fece a Torino ed io non conoscendo questo rituale, ne rimasi
sorpreso, essendomi ben nota la serietà della “spalla” Armando
Gramegna. Soltanto alla fine der concerto ebbi la spiegazione del….mistero!
Proprio a questo proposito Kleiber mi raccontò che una volta,
alla Filarmonica di Berlino, dove figurava nel programma la Settima di
Beethoven, l ’Intendente fu colto da malore nel proprio palco, avendo
udito il tema dell ’Ottava e quindi temuto che i suoi uffici
avessero commesso un madornale errore !
E’ sempre Kleiber che racconta:”Arrivato a Belgrado per dirigervi
l ’Orchestra Reale, chiesi all ’Intendente la formazione degli
archi: “Quanti sono i violini primi?”
“Otto”
“I secondi ?”
“Sei”
“Le viole ?”
“Tre o quattro”
“Come sarebbe a dire tre o quattro ?”
“Ecco, uno dei professori abita molto lontano perciò quando fa
cattivo tempo non viene”.
“Capisco. E i violoncelli ?”
“Tre”
“Contrabbassi ?”
“Dodici”
“Dodici contrabbassi ? Ma come è possibile una simile sproporzione ?”
“Le spiegherò subito Sig. Direttore Generale di Musica: deve sapere
che il contrabbasso è uno strumento che piace molto a Sua Maestà e
allora per fargli cosa gradita, ne abbiamo messi dodici in orchestra però devo
aggiungere, in via riservatissima, che sono soltanto due che suonano. Gli altri
sono comparse che imitano le mosse dei veri suonatori”.
“E così” concluse allegramente Kleiber “fui costretto
a dirigere i contrabbassi-comparsa !”.
Sempre per la Stagione Sinfonica dell’EIAR, al Teatro di Torino,
Richard Strass dirigeva il suo poema “Vita d’eroe” .
Spalla: L’ottimo, imperturbabile Armando Gramegna.
Chissà per quali ragioni, tre volte l’orchestra rischiò di
fermarsi per causa del celeberrimo compositore-direttore, ma tutte e
tre le volte il bravo Gramegna salvò la situazione.
Dopo la fine del concerto, in compagnia dell’amico Ugo Tansini,
mi recai nel camerino di Richard Strass per chiedergli se si fosse sentito
male. Mi rispose tranquillamente: ”No, stavo pensando ad altre
cose”.
Carl Schuricht aveva fatto tre prove con un’orchestra parigina
e ad ogni prova aveva visto cambiare il 1° Flauto. Alla prova generale
rivide finalmente il suonatore che aveva avuto alla prima prova.
Piacevolmente stupito gli dice: “Professore, sono veramente lieto
di rivederla tra noi !”
“Maestro, risponde questi, sono venuto oggi perché domani al concerto
non potrò essere presente”.
Con le celebri orchestre tedesche, i grandi direttori non usano provare
le ouvertures di repertorio.
Nonostante questa tradizione, Schuricht volle provale, con i Filarmonici
di Berlino, l ’inizio del Coriolano di Beethoven. Dette
l ’attacco, ma nessuno suonò. Allora egli disse seccamente
all’orchestra: “Signori, prego, con la mia bacchetta”. Ripetè il gesto e l ’attacco fu perfetto. “Grazie,
signori, il resto a questa sera”.
La sera, al concerto, dopo aver preparato l ’orchestra, ripetè il
medesimo gesto fatto alla prova del mattino ma nessuno attaccò.
“Mi sentii perduto” mi confidò “e dopo un attimo imitai
il gesto zigzagante di Furtwaengler: L’attacco fu impeccabile però ”mi
diceva ” il primo violino rideva sotto i baffi !”
Nel Settembre del 1946, a Vevey, prendevo un caffè sulla riva
del Lemano, in compagnia di Carl Schuricht e Wilhelm Backaus. Colsi l ’occasione
per chiedere al celeberrimo pianista quanto tempo avesse impiegato per
impadronirsi del “solo” iniziale del Quarto Concerto di
Beethoven. “Venti anni” mi rispose “ed ogni volta che
devo suonarlo, provo una paura birbona (sic!)”.
Paul Hindemith è stato uno dei compositori contemporanei che
scriveva molto bene per l’arpa (ah, quei pedali!): a Torino mi
raccontava che, dopo la prova d ’orchestra di una sua opera, la
prima arpa si avvicinò a lui e gli disse: “Signor Professore, è impossibile
che lei non abbia per amante un’arpista”. E l ’illustre
maestro mi diceva: “La sua convinzione era tale che rinunciai a
convincerla che non era vero”.
Dopo la guerra, nell’Ottobre del 1949, ci riabbracciammo a New
York, negli uffici della Broadcasting Music Corporation. Tra le varie
domande che gli rivolsi, vi fu quella per sapere quale fosse il suo giudizio
sulla sua più recente composizione e se la considerasse un “ritorno
all ’antico”. “Mio caro Pizzini” rispose “alla
mia età si ha il dovere di scrivere della vera musica”.
Per restare con i musicisti stranieri: il tedesco Carl Munck, celebre
tanto per la bacchetta quanto per la lingua pungente, provava il Parsifal a
Bayreuth. Durante, la scena del giardino incantato, ferma l ’orchestra
con un colpo secco della bacchetta sul leggio e rivolgendosi ad
uno dei “fiori” sul palcoscenico, gli disse: Signorina, a
questa distanza non mi giunge il suo profumo, ma anche se questo mi giungesse
avverrebbe con una croma di ritardo”.
Prova generale alla Filarmonica di Berlino, della “prima” dei
"Pini
di Roma". Come è consuetudine in Germania, le prove generali
hanno luogo alla presenza di pubblico; dirige Munck, ma purtroppo l ’esecuzione è lenta,
infatti dura otto minuti più del dovuto. Respighi, presente
in sala, non può stare fermo e si agita sulla poltrona borbottando
a causa dei “tempi” staccati dal direttore. Il pubblico
della fila anteriore, non conoscendo il Compositore, si volta, facendogli
cenno di tacere e di stare fermo.
“Nonostante la lentezza “ è Respighi che racconta “Munck
ottenne un grande successo. Dopo la prova mi chiese se i tempi fossero giusti.
Gli risposi di stringerli un poco. “Come” ribattè il burbero
direttore “ancora più svelti?”.
Dall’estero passiamo in Italia: parlando di musicisti “pepati”,
il nome di Antonio Guarnirei, dal pungente spirito veneziano, è uno
dei primi che viene sulle labbra.
Egli dirigeva al “Carlo Felice” di Genova e le sue prove
si alternavano con le rappresentazioni del “Boris Godunov”di
Mussorgsky, dirette da Vittorio Gui. Il Soprintendente del teatro, a
conoscenza che in quel tempo le relazioni fra i due maestri non erano
fra le più cordiali, aveva fatto l’impossibile onde evitare
che i due si incontrassero. Ma il diavolo, come d ’altronde è suo
preciso compito, un mattino ci mise la coda e fece in maniera che il
paventato incontro avvenisse proprio nello studio del Soprintendente.
Stretta di mano tra i due:
“Ciao, come stai?”
“Bene, e ti ?”
“Mica male, grazie.”
Dopo aver chiesto alcune informazioni al Soprintendente, Gui esce mentre
Guarnirei rimane nello studio.
“Caro, caro Maestro” esclama giubilante il Soprintendente” lei
non sa quale peso mi abbia tolto dal cuore !”
“Peso ? Par cossa ?”
“Perché mi avevano detto che lei ce l’aveva a morte con
Gui”.
“Mi ? Ma mi no so mica Mussorgsky! ” Precisa candido Guarnieri.
“Maestro” gli chiede un giovane studente del “Benedetto Marcello “ “cosa
ne pensa di Malipiero?”
“Oh, Malipiero” risponde Guarnieri “el xè un ottimo
musicista”.
“Allora lei lo stima”.
“Certamente, benedeto, e perché no lo dovaria stimar?”
“Perché ho visto che lei non esegue mai la sua musica”.
“Musica ? Ma mi no so ch’el gabia scritto musica”.
“Via, Maestro, non sa che Gian Francesco Malipiero è un compositore
conosciuto in tutto il mondo?"
“Gian Francesco ? Ma mi parlava de Giovanni, el tenor ! ”.
Nell’attraversare il palcoscenico de La Fenice, Guarnieri
si ferma davanti alla porta di un camerino, sulla quale è scritto
il nome di un giovane maestro e, sotto, la qualifica “Direttore
Stabile”. Dopo un attimo di silenzio borbotta: “Di Stabile,
mi ne conosso uno solo: Mariano! ” e riprende il cammino.
Ritengo che tutti i musicisti “dei tempi miei”, ricordino
con particolare venerazione il carissimo e grande direttore d ’orchestra
romano Bernardino Molinari, al quale la musica italiana moderna e contemporanea
(e non soltanto italiana) debbono tanto. Fra gli stranieri basterebbe
citare un solo nome: Claude Debussy. Ricorderanno anche come questo
uomo così amabile e “allegro” nella vita, si trasformasse
quando saliva sul podio, davanti all’amatissima orchestra, che
durante l’occupazione tedesca salvò dalle “retate”,
come salvò Antonio Pedrotti, già arrestato e rinchiuso
nel carcere di Regina Coeli.
Ricordavo come si trasformasse durante le prove e le esecuzioni. La verità è che
studiava e viveva così intensamente l ’interpretazione di
ogni lavoro, che il più piccolo errore lo feriva, facendolo addirittura
spasimare (Toscanini provava la medesima sofferenza) allora scoppiava
la sua romanesca…pirotecnica, coloratissima ma non sempre agevolmente
trascrivibile !
Stava provando all ’Augusteo un poema di Respighi, quando questi,
che asisteva in platea, approfittando di un’interruzione della
prova, si portò sotto il podio per dire a Bernardino qualcosa
che si riferiva all ’esecuzione. Ahimè, il momento scelto
non era affatto propizio perché il focoso maestro, che stava in…ebollizione,
dopo aver ascoltato quanto Respighi gli sussurrava, sbottò dicendogli “Ma
che ne devi capì tu, de musica !”
Dopo il Veneto ed il Lazio, è di scena la Toscana.
Si provava il “Guglielmo Ratcliff” a Livorno sotto la direzione
di Pietro Mascagni. All’antiprova generale si ammala il tenore
e quindi si cerca affannosamente chi possa sostituirlo. Il cantante faticosamente
trovato, non è l ’ideale, ma bisogna salvare lo spettacolo
ad ogni costo. Si fa una prova al pianoforte, poi in orchestra. Il tenore
fa del suo meglio, ma la comprensibile emozione peggiora il tutto. Ad
un certo punto il poveretto, con la gola secca, si fa addirittura portare
da bere sul palcoscenico.
Mascagni fa miracoli per conservare la calma.
Terminata la prova, il cantante si precipita dal Maestro e gli dice:
“Sapesse che paura ho provato, Maestro, a cantare con lei! ”
“Si, le confesso che anch’io ho avuto una grande paura,” risponde
Ma scagni “ però quando ho visto che beveva mi sono rassicurato
perché ho detto fra me e me: meno male che non è idrofobo !”
Umberto Giordano nutriva ammirazione per Mascagni e spesso ricorreva
a lui per consigli, nonostante ne temesse l ’ironia. Un giorno gli
confidò:
“Sai Pietro, c’è una bellissima ragazza che mi mostra una
particolare simpatia”.
“Beato te!” commenta l ’altro, accendendo l ’ennesimo
mezzo-toscano.
“Beato me ? Però non sai che è minorenne? Potrei avere dei
guai !”
“Guai ? Ma no, non devi avere il minimo timore”, lo rassicura Pietro, “perché prima
che tu sia in grado di corrispondere ai suoi slanci, lei ha tutto il tempo
per diventare maggiorenne !”
Si racconta che Ruggero Leoncavallo considerasse talvolta come propri,
temi o incisi musicali di altri compositori. Una sera accompagnò Mascagni che partiva da Roma-Termini. Fra treni in arrivo e treni in partenza,
vi era un via-vai di fischianti locomotive.
“Mi sembra di assistere alla “prima” de Le Maschere “ osservò ridendo
Mascagni (è noto che questa opera, presentata la medesima sera in varie
città italiane non riscosse il successo sperato).
“Già anch’io ho avuto la stessa idea tua” rincarò l ’autore
dei Pagliacci.
“Non sarebbe certo la prima volta che tu hai le stesse idee mie” concluse
il Livornese.
Durante una prova dell ’Iris, Mascagni ferma l’orchestra
e rivolgendosi vivacemente al cantante che interpreta la parte del padre
cieco di Iris, esclama:
“Lei deve fare il cieco, ma non il muto, perbacco ! ”
E un’altra volta, ad un cantante che interpreta la parte di un
cacciatore:
“Lei è un fenomeno, perché riesce a fare contemporaneamente
il cacciatore e il cane !”
Col passare degli anni, il Compositore toscano si era molto addolcito,
come se il suo spirito mordace fosse stato temperato dalla bonomia romana.
Ebbi occasione di avvicinarlo spesso anche per la realizzazione di opere
e concerti da lui diretti all ’ EIAR e per l ’edizione fonografica
de L’amico Fritz. Si teneva al corrente di quanto accadeva
nel mondo musicale, rallegrandosi quando trovava un giovane compositore
che “scriveva col cuore” (sic). Da molti anni abitava all’Hotel Plaza, al Corso Umberto, dove occupava un appartamento al primo piano,
composto da un salone (n.114) e da tre camere (n.i. 115-117-118). Mi
recavo frequentemente a fargli visita, sempre accolto con la più viva
cordialità.
Dopo l ’ingresso delle truppe alleate a Roma, nel Giugno 1944, il
Comando Militare Francese si insediò al Plaza. Al momento della
presa di possesso, il Comandante si fece consegnare l ’elenco dei
clienti dell ’albergo. Vedendo tra questi il nome di Pietro Mascagni,
chiese se si trattasse dell’autore di Cavalleria Rusticana. Avutane
conferma, consentì soltanto a lui di restare nel suo appartamento
quale “Ospite della Francia”.
Per non disturbare la sua agonia, nel Luglio del 1945, vennero impartiti
ordini severi affinché nessun rumore turbasse il tramonto del
Grande. Il 2 Agosto. Appena morto, il Comando Militare espose la bandiera
francese abbrunata. Ai funerali, che ebbero luogo nella vicina chiesa
di S.Lorenzo in Lucina, il governo italiano d ’allora, non ritenne
di partecipare.
Con questo finale “elegiaco” la prima parte del mio scritto.
Dovrebbe considerarsi terminata ma, per dare un piccolo apporto alla
storia della musica, devo aggiungere che, ad iniziativa di colleghi dell ’Accademia
di S. Cecilia (allora Regia, poi Nazionale) di amici, artisti, etc.,
si formò in seguito un comitato per mettere sulla facciata del Plaza, un ricordo marmoreo del Maestro.
Ne faceva parte anche Beniamino Gigli, che offrì inoltre una cospicua
somma. Io collaborai per organizzare la manifestazione musicale che avrebbe
fatto da cornice all ’inaugurazione della lapide, nel primo anniversario
della morte del Compositore. Quella mattina pioveva. Nel salone del primo
piano Gigli cantò alcune romanze mascagnane. La sua voce veniva
amplificata all’esterno. Sulla gradinata prospiciente la Basilica
di S. Carlo al Corso era schierata la Banda dell’Arma dei Carabinieri,
diretta dal M° Domenico Fantini, che eseguì alcune pagine
di Mascagni. Se ben ricordo, prima della parte musicale, l ’On.
Giulio Andreotti pronunciò un breve discorso che voleva giustificare
l ’assenza ufficiale del Governo, ai funerali del Maestro, nell ’Agosto
dell’anno precedente. L’On. Andreotti è un abile ed
efficace oratore, ma ahimè nessuna bella parola ha il potere di
cancellare una brutta figura.
I governi passano, gli Artisti come Pietro Mascagni, restano immortali!
Carlo
Alberto Pizzini (1981) |