Nella prima parte di questo mio lungo scritto, ho già parlato
di Richard Strauss, ma devo tornare ad occuparmi di lui. Quanto segue,
mi fu raccontato da Johann Schwarzenberg, primo Ambasciatore d’'Austria
presso il Quirinale, poi presso la S. Sede.
L’allora giovane Maestro, sostituto in un teatro, ripassava al
pianoforte la parte al bravo, però particolarmente suscettibile,
soprano, Pauline De Anna.
Si sa come vanno le prove: fermate, ripetizioni, osservazioni, correzioni
etc. certamente necessarie, ma che a lungo andare, portarono la scarsa
pazienza della vivace cantante, a superare il livello di guardia e straripare.
Fatto allora un rotolo con la propria musica, Pauline assestò,
con esso, un vigoroso colpo sulla testa dell’' esigente, malcapitato
sostituto. Inutile aggiungere che, così, la prova ebbe termine.
Qualche giorno dopo, un ufficiale si presenta a Strauss per chiedergli
spiegazione del suo comportamento nei riguardi della propria fidanzata
Pauline.
“L’unica spiegazione che posso darvi” rispose con calma il
Maestro “è che la signorina De Anna, che l’altro giorno
era la vostra fidanzata, è oggi la mia”. (Si sposarono nel 1894).
Pauline Strauss aveva un culto quasi maniacale per la pulizia. Mi raccontò Respighi che, recatosi a visitare gli Strauss nella loro villa di Garmisch,
aveva appena varcato la soglia, quando vide la signora gettarglisi ai
piedi per togliergli con uno strofinaccio la polvere delle scarpe.
Durante un viaggio a Roma, i coniugi Strauss vennero invitati a pranzo
dai Respighi che allora abitavano un appartamento nel Palazzo Borghese.
Racconta Elsa che Pauline, trovandosi davanti a una finestra, passò un
dito lungo tutta la soglia interna del davanzale. Guardò quindi
il dito e non avendovi riscontrato traccia di polvere, disse ad Elsa: “Complimenti,
signora, la sua casa è ben tenuta”.
Umberto Giordano amava
dirigere all ' EIAR le proprie opere, ma non avendo alcuna esperienza
direttoriale, invece della partitura usava lo spartito per canto e
pianoforte. Siccome era amato dalla Orchestra,
poteva fare il massimo affidamento sulla sua collaborazione.
Nonostante ciò, una volta si confuse al punto d’' indurla
a fermarsi. (Allora le trasmissioni di effettuavano “in diretta”).
Il maldestro direttore, spaventatissimo, non sapendo come cavarsela e
dimenticando di trovarsi in piena trasmissione, implorò la spalla,
il bravissimo violinista Vittorio Emanuele, dicendogli: ”Suonate
qualche cosa, suonate qualche cosa !”.
Ho già scritto che Giordano era molto amico di Mascagni, pur temendone
lo spirito mordace.
Sentendolo magnificare più volte alcune sue particolari possibilità sulle
quali egli non poteva più fare affidamento (i due compositori
erano ambedue avanti con l’' età), Giordano pensò di
rivolgersi al proprio medico di fiducia, confidandogli quanto raccontava Mascagni e chiedendogli una cura efficace da seguire. Il bravo dottore
lo ascoltò pazientemente e, infine, gli disse:
“Maestro, la sola cura efficace che posso consigliarle è la seguente:
dica anche lei tutto quello che “dice” Mascagni!”.
Nelle giurie dei molti concorsi internazionali delle quali ho fatto
parte, ho sempre notato che i musicisti dei Paesi di lingua tedesca attribuiscono
una preminente importanza all’interpretazione stilistica, trascurando
la bellezza e la potenza della voce. Mi trovavo a Ginevra, nella riunione
finale, in cui dovevano attribuirsi medaglie e diplomi. Erano in discussione
le sorti di un belante tenorino austriaco (un vero capretto!) arrivato
in finale non so come (io avevo espresso sempre parere negativo). La
discussione si prolungava e George Auric, che rappresentava la Francia,
seduto vicino a me, mi sussurrava all’orecchio: ”Io non lo
scritturerei mai per l’' Operà, la voce non arriverebbe nemmeno
al suggeritore !” La decisione era ancora in alto mare, quando fui
interpellato dal giurato austriaco: “E’ vero, Maestro Pizzini,
che anche voi lo trovate buono ?”. Risposi: “Si, però io
lo preferirei…allo spiedo !”.
L’orecchio “assoluto” di Franco Ferrara ha una percezione
così perfetta che lascia stupiti anche i tecnici più esigenti.
Si provavano alla Fono Roma, con una grossa formazione orchestrale, le
musiche sinfoniche per il film della Mander " Penne Nere " .
Dopo una strappata, generale e fortissima in mi bemolle, nel silenzio
chiede: “Chi ha suonato mi naturale ?”.
“Mi scusi, maestro, sono stato io”, risponde confuso il terzo contrabbasso.
Sempre a proposito di orecchio: De Sabata prova alla Scala ed uno dei
primi violini (diventato in seguito apprezzato direttore d ’orchestra)
di diverte a saggiare l’orecchio del direttore, con piccoli errori
di lettura. La cosa sembra proceder bene, quando De Sabata, senza smettere
di dirigere, esclama: “Se il quarto violino non smette con i suoi
giochetti, lo caccio fuori ! ”.
Un altro direttore, ottimo anche per l ’orecchio e per la memoria,
fu Sergio Failoni. Alla Scala, sostituto al pianoforte, suonava con lo
spartito chiuso sul leggio, cosa questa non gradita ad Arturo Toscanini,
che dirigeva. Un giorno che Failoni ebbe una piccola distrazione, Toscanini
si avvicinò a gran passi ed aprì lo spartito al punto esatto,
ma mentre tornava al podio, Failoni capovolse lo spartito e continuò a
suonare a memoria, beninteso voltando le pagine !
Con la sua aria trasognata Failoni sta per salire sul podio dell’Opera
Reale, a Budapest, e domanda al primo violino: “Cosa c’è questa
sera?”
Risponde l ’interpellato: “Noi suoniamo Tristano e Isotta”.
Due aforismi sulla musica.
La musica è come la donna, quando non è bella si dice che è “interessante”.
E un altro di Carnelutti (ai compositori): “Se avete qualcosa da
dire, ditela pure in cinese, ma se non avete niente da dire, è inutile
che parliate il cinese !
Al Teatro Reale dell’Opera, si prova per la prima esecuzione del Trittico,
dirige Vincenzo Bellezza e Giacomo Puccini presenzia a tutte le prove.
In un punto de Il Tabarro, il Compositore si avvicina a “Vicenzio” mormorandogli
all ’orecchio: “Affretta, affretta”. Questi, senza smettere
di dirigere, gli indica con la mano sinistra il metronomo segnato e scrupolosamente
rispettato.
“Si, lo so” gli risponde Puccini “ma se mi annoio io, pensa
il pubblico !
”Per le prove di queste tre opere, suonava in orchestra Nuccio Fiorda
che approfittava del riposo durante le prove, per comporre una Fuga da
portare a scuola. Come tavolino, si serviva di uno dei timpani, sul quale
aveva, momentaneamente, rimesso il coperchio. Passando da quella parte,
Puccini, incuriosito, gli chiese cosa stesse facendo. Avutane la spiegazione,
domandò di chi fosse allievo. Fiorda rispose: “Di Respighi”.
“Sta a Roma, adesso, il suo Maestro ?” Fiorda disse di si e allora
Puccini lo pregò di dirgli che avrebbe avuto necessità di parlargli.
Saputo il desiderio espresso dal celebre compositore, Respighi, il giorno
dopo, si recò alla prova.
Mostrandogli la partitura de Il Tabarro, Puccini gli disse: “Vede,
qui, volevo imitare il verso del gatto, ma non ci sono riuscito”.
Respighi gli disse: “Maestro permette?” E tirata fuori una
stilografica, apportò delle modifiche allo strumentale, tolse,
aggiunse e, finalmente il “bel soriano” de la “frugola”,
balzò fuori dall’orchestra.
Semplicità e grandezza di due insigni musicisti italiani!
Quando Respighi fu eletto Accademico d’Italia, un allievo gli
disse: “Avevamo sempre saputo di avere il Maestro per eccellenza,
ora sappiamo anche di avere l ’Eccellenza per Maestro !”.
Nella Classe della Musica della Reale Accademia d’Italia, vi erano
soltanto due compositori non iscritti al Partito Fascista: Don Lorenzo
Perosi ed Ottorino Respighi.
In occasione di solenni riunioni, era fatto obbligo agli Accademici di
indossare una particolare uniforme con fregi d ’argento sul colletto
e sui polsini della marsina, così come usavano ed usano gli “Immortali” dell’Accademia
di Francia. Per quanto contrarissimo a questa usanza, Respighi fu, suo
malgrado, costretto ad accettarla. Il sarto provandogli l ’uniforme,
gli chiese: “ Eccellenza, come ci si sente ?” E il Maestro,
acido: “Mi sento molto maresciallo dei Carabinieri !”.
Uno dei primi editori di Respighi, non aveva con il latino la medesima
familiarità che lo legava alla editoria, però amava
fare sfoggio di un’erudizione che, ahimè, era lontano dal
possedere. Avendo udito la espressione “Relata refero”,
gli piaceva citarla, ma non ricordandola esattamente, la trasformava
in “Taràta tafèto”.
E’ risaputo come i temperamento artistico porti all ’esasperazione
(l ’amico scrittore Sergio Pugliese lo affermava categoricamente)
e il violinista Arrigo Serato ne forniva una chiara conferma. Rientrato
a Bologna da una tournèe di concerti, chiese a Respighi: “Sai
quanti concerti ho tenuto ?”. E questi , secco: “La metà !”
Per restare tra i violinisti: l ’illustre compositore sovietico Tikhon Krennikov chiese a Leonid Kogan quante volte avesse eseguito un Concerto di
un noto autore contemporaneo.
“Una volta” rispose il celebre violinista, che si affrettò a
precisare “la prima e l’ultima!”.
Respighi si compiaceva che i suoi allievi fossero di alta statura. Ricordo
fra questi: Daniele Anfiteatrof, Gian Luca Tocchi, Otmar Nussio, Lino
Liviabella e, il nostro Everest, Giovanni Salviucci.
A chi gli faceva notare che anche Giacinto Sallustio (basso e grasso)
aveva studiato con lui, Respighi rispondeva: “Ma Sallustio è cresciuto
in…larghezza !”
Percorrendo il sentierino, piuttosto accidentato, che portava all ’orto
de “ I Pini”, consigliavo al Maestro di farci passeggiare
sopra Sallustio a mo’ di rullo compressore!
Per onorare la presenza a Roma della mecenate statunitense, Mrs. Elisabeth
Coolidge, Respighi organizzò per l ’ 11 Maggio del 1933,
un concerto nel giardino della sua villa romana “I Pini” alla Camilluccia. Il programma comprendeva le prime esecuzioni “assolute” di
tre composizioni scritte da Casella, Malipiero e Respighi, per piccoli
complessi da camera e tutte dedicate alla stessa Mrs. Coolidge. Ero presente
alle prove e, ricordo che dopo la prova del lavoro di Malipiero, Respighi
fece notare al Collega che, per un’evidente distrazione del copista,
il fagotto aveva continuato a suonare in chiave di tenore, anziché tornare
alla chiave di basso.
“Tanto suonava bene ugualmente” confessa con aria angelica il
Musicista veneto, riscontrando effettivamente l ’errore segnalatogli.
Ferruccio Vignanelli, artista il cui valore è soltanto eguagliato
dalla sua grandissima modestia, venne pregato, a Venezia, di salvare
un concerto di un Complesso strumentale italiano, di fama internazionale,
sostituendo al cembalo un collega ammalato.
Prima dell ’esecuzione, egli chiede ai colleghi sistemati vicino
al suo strumento, di volersi leggermente spostare, onde consentirgli
di vedere il direttore. Non soltanto quelli vicini, ma tutti gli esecutori
si voltarono a guardarlo con curiosità non priva di ironia, sì da
fargli domandare:
“Ho forse detto qualcosa che non va?”
Gli rispose, per tutti, il violinista Sabatini:
“Ricordati, Ferruccio”, che chi lo guarda è perduto !”
Ludovico Rocca, l ’applaudito autore de Il Dibuk, Monte Ivnor, e
molti altri lavori, sembrava nutrire una predilezione per i soggetti
tragici. Ad un amico che gli faceva notare questa sua particolarità,
il Maestro rispondeva:
“Non capisco perché si dica questo di me. Pensa che proprio in
questo momento sto lavorando intorno alla trama di un’opera comica dove,
tra l ’altro, c’è uno dei protagonisti che si ubriaca a tal
punto da non vedere una grossa botte nella quale cade e affoga !”
Bernardino Molinari, che dirige al Teatro di Torino un concerto sinfonico-vocale,
per la Stagione sinfonica pubblica dell ’ EIAR, aspetta alla stazione
di Porta Nuova che arrivi il treno da Roma, su cui viaggia la moglie
Mary. Fanno compagnia a Bernardino: Benedetto Mazzacurati e il sottoscritto.
“Come mai un binario morto in questo punto?” Chiede l’illustre
direttore.
“L’avranno messo li per quando arriva, o parte, Ludovico Rocca !” commenta
il violoncellista bolognese.
Un Compositore torinese della fine dell’800, noto tanto per aver
scritto applaudite opere teatrali, quanto per la sua irriducibile avversione
all’acqua e al sapone, s’innamorò talmente di una
fanciulla, da pensare di sposarla. Confidandosi con un intimissimo amico,
fu da questi consigliato a prendere un bagno, prima di presentarsi ”E
se poi mi rifiuta?” rispose perplesso il Musicista.
Luigi Dallapiccola, invitato a pranzo da una nobile famiglia di Firenze,
ha alla sua destra, un’anziana, distinta signora che gli rivolge
varie domande sulle attitudini musicali, sui progressi nello studio del
pianoforte, sulle previsioni di una carriera artistica, etc. della bambina
dei loro anfitrioni. Il Compositore fiorentino, che ha risposto evasivamente
alle prime domande, di fronte all’incalzare delle altre, si sente
in dovere di far presente alla sua interlocutrice che non conosce la
bambina in questione.
“Mi scusi,” risponde la signora “ma mi avevano detto che
lei era il maestro “della piccola””.
Durante la guerra arabo-israeliana, Molinari dirigeva l ’Orchestra
Sinfonica di Tel Aviv, fondata da Arturo Toscanini. Insieme alla nipote
Berta, si recavano alle prove e ai concerti dentro un carro armato (Mi
piace ricordare che Molinari armonizzò ed orchestrò l’inno
nazionale israeliano).
In quel tempo, come d ’altronde in molte città europee, si
facevano lunghe file per gli acquisti. Così anche a Tel
Aviv, per procurarsi i biglietti dei concerti, dopo lunga e paziente
attesa davanti al botteghino. Una donnetta si mette tranquillamente in
fila e, soltanto dopo un po’ si decide a chiedere alla persona
che la precede: ”Per chi fate la fila?”
“Per Molinari”, risponde l’interpellata. E la donnetta: “Quanto
costa al metro?”
Carlo Alberto Pizzini (1981)
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